Dal trauma alla guarigione profonda con la psicoterapia EMDR

                                                 (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) 

 

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“I traumi precoci, non potendo essere razionalizzati si instaurano nel corpo…ed è li che dovremmo cercare! Per questo, molto spesso, sintomi funzionali esprimono dei vissuti e/o traumi e microtraumi mai elaborati”.                    
Dott. Marco Franceschini

 TRAUMI CON LA “T” MAIUSCOLA E LA “t” MINUSCOLA

Tutti noi, per il semplice fatto di vivere, siamo esposti all’eventualità di sperimentare traumi psicologici (dal greco “ferite dell’anima”). Esistono traumi che si possono definire “con la T maiuscola”: sono ferite importanti che minacciano la nostra integrità come calamità naturali, incidenti stradali, aggressioni, stupri, omicidi o suicidi di persone care, diagnosi infauste. Ma vi sono anche traumi “con la t minuscola” , esperienze che sembrano oggettivamente poco rilevanti, ma che possono assumere un peso soprattutto se ripetute nel tempo (microtraumi cumulativi) o subite in momenti di particolare vulnerabilità o nell’infanzia. E’ allora che, umiliazioni, abbandoni, trascuratezza e paure possono lasciare il segno modificando non solo i nostri atteggiamenti, le emozioni e le relazioni con gli altri nel corso della vita ma, questa è la novità scientifica, imprimendosi anche in specifiche aree del cervello, come hanno dimostrato studi all’avanguardia nel campo della neurobiologia. Ciò vale sia per i traumi maggiori che per quelli minori.

LA PSICOTERAPIA EMDR

Inizialmente lo psicoterapeuta che ha ricevuto la specifica formazione in EMDR raccoglie la storia del paziete, identificando con lui gli eventi che hanno contribuito a sviluppare il problema: attacchi di panico, ansie, fobie, sensi di colpa, insonnia, difficoltà di concentrazione, disturbi gastrointestinali, tachicardia, ecc.. Sono questi ricordi che verranno elaborati con l’EMDR. Il paziente viene invitato a notare i pensieri, le sensazioni fisiche e immagini collegati con l’esperienza traumatica, nel contempo il terapeuta gli fa compiere dei semplici movimenti oculari, o procede con stimolazioni alternate destra-sinistra. Tali stimolazioni hanno lo scopo di favorire una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali e si basano su un processo neurofisiologico naturale, simile a quello che avviene nel sonno REM. Dopo l’EMDR il paziente ricorda ancora l’evento, ma sente che tutto ciò fa parte del passato ed è integrato in una prospettiva più adulta. Dopo poche sedute i ricordi disturbanti legati all’esperienza traumatica si modificano: il cambiamento è molto rapido, indipendentemeente dagli anni trascorsi dal trauma dal vissuto emotivo disturbante e mai elaborato. I pensieri intrusivi si attutiscono o spariscono, le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità. Studi randomizzati controllati hanno dimostrato che nel giro di 3-6 sedute si ha dal 77% al 100% di remissione del DSPT in vittime di traumi singoli, mentre occorrono almeno 12 sedute per coloro che hanno subito traumi multipli.DSC_0250

LE CONSEGUENZE A LIVELLO PSICOLOGICO

Grazie alle proprie risorse ed a l’aiuto del prossimo, la maggioranza delle persone traumatizzate riesce a recuperare un nuovo equilibrio, ma ci sono ferite che continuano a sanguinare anche a distanza di anni. Nel caso di traumi con la T maiuscola le persone possono reagire con paura, senso di vulnerabilità e orrore, secondo la definizione fornita dal DSM-V. Il trauma in questi casi è sempre presente, le sensazioni sono vive, e sembra che l’evento sia successo poche ore prima anche se risale a mesi o anni addietro. La sofferenza psicologica dei traumi con la “t” minuscola può essere di minore impatto ma ugualmente invalidante. Sensazioni di insicurezza, mancanza di autostima, colpevolizzazioni, attacchi di panico, ansie, sono gli strascichi più frequenti.

DIETRO LE QUINTE: COSA ACCADE NEL CERVELLO

Per guarire, la nostra psiche mette in campo le proprie risorse. Perché, così come siamo dotati di un sistema immunitario che provvede a guarire le ferite fisiche, vi è anche un naturale e saggio sistema di riparazione delle ferite dell’anima. Gli eventi traumatici, in questi casi, non vengono cancellati ma rielaborati in modo adattavo, permettendoci di andare avanti spesso con risorse aggiuntive che ci serviranno per affrontare altre difficoltà. Il passato, in questi casi, resta nel passato e noi possiamo proseguire sul cammino della vita. Ma quando un trauma rimane irrisolto, invece, diventa parte di un circolo vizioso di pensieri, emozioni e sensazioni corporee disturbanti. Si è visto che i ricordi traumatici sono immagazzinati nel cervello in modo differente dai ricordi non traumatici. I primi si collocano soprattutto nell’emisfero destro, separati dai ricordi positivi come se fossero congelati in uno spazio e tempo diversi dal resto dei nostri vissuti. Qui continuano ad agire ma queste cicatrici sono in realtà il ricordo di ciò che è successo.

E.M.D.R, LA CHIAVE CHE APRE I GIARDINI DELLA MEMORIA

Oggi l’EMDR è considerato il trattamento evidence-based per il DSPT (Disturbo da Stress Post Traumatico), validato da più ricerche e pubblicazioni. E’ approvato, tra gli altri, dall’American Psychological Association, dall’American Psychiatric Association, dall’International Society for Traumatic Stress Studies, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dal nostro Ministero della Salute. Gli aspetti vincenti dell’EMDR sono la rapidità di intervento, efficacia e la possibilità di applicazione a persone di qualunque età, compresi i bambini.

                                                        LE CONFERME DA STUDI DI NEUROIMAGING                                                                La tendenza oppressiva a rivivere il trauma attiva le reti neuronali coinvolte nelle risposte legate alla paura, causando modificazioni in specifiche aree del cervello. Uno degli studi più recenti (2012) realizzato dal neuroscienziato Marco Pagani dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della cognizione del CNR di Roma in collaborazione con il Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell’Università Tor Vergata, è il primo al mondo a dimostrare gli effetti in tempo reale di una terapia psicologica. La ricerca ha coinvolto dieci soggetti con grave trauma psichico e dieci controlli sani non traumatizzati. Con la tecnica della neuroimmagine funzionale si è dimostrato che esiste un cambiamento significativo nell’attivazione delle aree cerebrali dopo la terapia con EMDR, da regioni limbiche con una valenza emotiva elevata a regioni corticali con una valenza emotiva elevata a regioni corticali con una valenza associativa. In pratica, l’EMDR trasforma l’esperienza da emotiva in cognitiva, in cui diverse regioni cerebrali partecipano all’elaborazione dell’esperienza.

 

 

 

Cos’è la bellezza?

-sguardi-2-34605Nasciamo con a disposizione un’energia come dote da spendere nella vita, dove questa energia si chiama libido, che non è solo come la intendeva Freud, (libido sessuale), ma come ha dimostrato Jung è energia psichica che può assumere diverse forme, a diversi livelli, anche sessuale. Ora, nell’osservare “sua maestà il corpo” ci accorgiamo che è strutturato in modo tale da avere una supremazia sull’ambiente se non altro perché può manipolarlo. Il pollice opponibile ne è una dimostrazione.  Quindi scopo  e  fine della vita è quello di “spendere” questa libido oggettuale che trova il proprio piacere nell’altro, nell’oggetto; il mondo in quanto corpo? D’altronde se si nasce attraverso un corpo che si sviluppa, un corpo che ha senso solo in quanto in relazione con il mondo, allora dal momento che il corpo è la sede dei sensi, allora la libido porta con sé il piacere e il mondo afroditico dei sensi. Ma Afrodite è considerata la dea alchemica, quindi il principio della trasformazione oltre che dea dell’amore e della bellezza. “Aurea fu l’aggettivo spesso utilizzato dai greci per descrivere Afrodite e per loro Aurea voleva dire bella”[1]. Non a caso Plotino ha attribuito a Platone l’idea che l’Anima è sempre una “Afrodite”. Allora, nelle parole di Hillman: “Immagineremo che questa pulsione libidica, che percorre tutto l’opus del fare anima e il suo amore crescente, abbia come meta una resurrezione nella bellezza e nel piacere”[2]. Rispetto alla libido, ritengo utile sottolineare che secondo Jung: “La libido ha un carattere archetipico. E questo equivale a dire che la libido non proviene mai dall’inconscio in uno stato informe, ma sempre in immagini”[3]. Ma dipende da ognuno di noi saper cogliere la bellezza e il piacere. Tra l’altro la bellezza potrebbe essere considerata come l’oggettivazione del piacere. Vedere la bellezza in ogni sua modalità, dipende da come noi vediamo. Se vediamo con la ragione difficilmente potremmo cogliere questa bellezza, viceversa se ci poniamo con il cuore e con il desiderio, allora entriamo in sintonia con il cosmo con il “Qi” in un autentico rapporto-oggettuale, dove Eros e Psiche potrebbero essere degni rappresentanti. E’ auspicabile quindi saper riconoscere la bellezza nella nostra individualità, nel nostro corpo, ma non nel senso comune del termine, dove la bellezza viene letteralizzata, dove diventa fisica. La bellezza non è mai fisica di per se! Semmai la si può intendere come un piacere che si sostanzializza attraverso l’oggetto; in questo senso la bellezza non può prescindere dalla relazione oggettuale.   Potrebbe la bellezza corrispondere alla materializzazione del piacere? Perché no?          Moltissime persone non accettano il loro corpo così com’è, probabilmente perché letteralizzano il significato della bellezza, per cui si appesantisce la forma materiale della sua stessa fisicità; guardiamoci bene dal fisico nel materiale! Forse bisognerebbe immaginare di più con i sensi, con il piacere, altrimenti non si può dare bellezza. Vediamo la bellezza in un oggetto qualsiasi quando, ancora prima lo abbiamo immaginato con il piacere, col cuore. Esiste una madre che non vede il proprio neo-nato bellissimo? Tornando alla bellezza  ed al fatto che molte persone non “si piacciono”, è probabile che tale difficoltà possa essere rintracciata in due fattori intimamente legati l’uno all’altro: il primo, come già accennato, potrebbe dipendere dalla prospettiva letteralizzante, cioè dal fatto che proiettiamo massicciamente l’idea o l’immagine della bellezza nel fisico, in altre parole ci aspettiamo di trovare la bellezza nel fisico senza neppure immaginare l’oggetto; ma se manca il piacere di immaginare non ci può essere bellezza. Secondo,  la società propone oramai modelli di bellezza con dei parametri che difficilmente possono essere riscontrati sul proprio corpo. Risultato: non ci piacciamo, così rincorriamo i più svariati rimedi che vanno dalla dieta, alla palestra, dal chirurgo estetico al personal trainer e così via. E siccome è tutto un autoinganno, si continuerà ad essere infelici perché ci si  sente traditi dal proprio corpo. In realtà, l’infelicità che segue le diete, il chirurgo plastico, l’iniezione di bodulino, ecc, deriva dal fatto che più continuiamo a essere ciechi nei confronti dell’anima, della nostra vera natura più ci dovremmo aspettare l’insorgenza di sintomi, percepiti sia sul piano esistenziale sia sul piano medico. Forse per piacersi bisognerebbe partire dalla capacità immaginativa, immaginare col cuore! Insomma,forse la bellezza più che nell’oggetto è da ricercare nel modo con cui noi vediamo?

Dott. Marco Franceschini

[1] Bolen J.S., 1984, Le dee dentro la donna, Astrolabio, 1991, pg.221.

[2] Hillman J., Psicologia Alchemica, cit., pg. 281.

[3] Jung C.G., Psicologia Analitica, McGuire W. (a cura di), Ed. Magi, Roma, 2003, pg. 29.

 

La bara di vetro

angelo_morte2Se non si è psicologicamente separati dai “genitori primordiali”, archetipici, non sarà possibile entrare in una  relazione pienamente adulta con loro e sarà difficile superare la paura  di cambiare ciò che non va nella propria esistenza; tuttavia il timore della trasformazione  appartiene più o meno a tutti,  in diverse fasi dello sviluppo e con diverse modalità, basti pensare alla continua apprensione nei confronti del futuro, alla cura con cui gestiamo il presente per evitare imprevisti futuri;  a come ci impediamo grossi sconvolgimenti emotivi, magari con comportamenti preventivi, oppure alla riluttanza di fare scelte rischiose. Ma forse il più grande rischio che possa correre l’uomo è proprio quello di non voler rischiare mai.                                                                                                                           Nella mia esperienza clinica ho potuto osservare che molte persone con disturbi funzionali,con dolori cronici o altro,(sindrome da stanchezza cronica, fibromialgia, sintomi psicosomatici, attacchi di panico, depressione,ecc), vivono come all’interno di una “bara di vetro”  per non rischiare di fare scelte in sintonia con la propria anima, vivendo così in una pesantezza “plumbea” tanto da far fatica a camminare, quindi con una compromissione della relazione con il mondo circostante. La bara come contenitore che, da un lato protegge dai pericoli che sono lì fuori il mondo, dall’altro soffoca il proprio sviluppo, soffocando la voce ovattata nella bara sigillata, così che questa voce non può essere udita. Forse bisognerebbe affidarsi al proprio angelo interiore, a quel messaggero, a quella preziosa risorsa psichica che Sandor Ferenczi chiamava Orpha, la quale ci potrebbe aiutare ad orientarci in modo più vantaggioso al di fuori della bara di vetro.

Dott. Marco Franceschini

Depressione. Una letteralizzazione del malumore

depressione-famiglia…il problema è di non prendere in modo letteralistico quei malumori, debolezze e sensi di impotenza. Quando sei in uno stato depressivo, capisci che la depressione appartiene a te e tuttavia non ti identifichi con essa. Vivi la tua vita nella depressione; svolgi il tuo lavoro in compagnia della depressione; non ti paralizza completamente. Può paralizzarti soltanto se sei un maniaco-depressivo. La depressione diventa terribile quando ci si accanisce a uscirne, a dominarla. Di una persona che prendesse alla lettera un’idea diremmo che è paranoide; eppure noi prendiamo i sentimenti come se fossero la nostra unica verità, identificandoci con essi. Insomma, quando entriamo in depressione, la nostra depressione ci appartiene e non possiamo evitare di viverla fino in fondo. Possiamo vivere la nostra giornata secondo uno stile depresso: il ritmo rallenta, c’è tristezza, non si riesce a vedere oltre il proprio orizzonte. Ma si può prendere atto di questi fatti, riconoscerli e andare avanti, migliaia di persone vivono in questo modo. Si può sempre trovare il modo di parlare, a partire dalla depressione, di vedere il mondo attraverso questa prospettiva, di entrare in rapporto con gli altri senza il bisogno di mascherarla. E’ un tale sollievo trovarsi con qualcuno che è capace di vivere nella depressione senza identificarsi totalmente con essa: è un maestro da cui imparare, come sanno essere a volte i vecchi. Con la depressione tocchiamo il fondo e toccare il fondo significa rinunciare all’idea cristiana di resurrezione, della “luce alla fine del tunnel”. Niente più fantasie di luce, ed ecco che la depressione diventa subito meno buia. Se non c’è speranza, non c’è neppure disperazione. Il messaggio di speranza del cristianesimo non fa che rendere più buia la disperazione; è il miglior alleato dell’industria farmaceutica!

(Tratto da J. Hillman)

Conoscere se stessa…abbracciare tutto. L’archetipo Estia.

11150292_10205544483682965_7912944817107544307_nTra i principali archetipi che “governano” la psiche, soprattutto femminile c’è Estia, forse la meno famosa, ma non per questo la meno importante…anzi! Una curiosità è che Estia sembrerebbe essere l’unica dea dell’Olimpo che non è stata coinvolta in guerre o litigi vari. E’ considerata una dea vergine, come Artemide ed Atena, e ricordiamo che nell’antica Grecia il termine ”vergine”, voleva significare anche una donna considerata libera e che non apparteneva a nessun uomo. Estia fa il voto di castità e ciò evita una guerra olimpica, quindi tale rinuncia garantisce la pace. Come a dire che rinunciando all’”intrico” del mondo (olimpico) possa portare la pace interiore e un senso di purezza. Estia diventa la dea del focolare, cioè in termini intrapsichici del “fuoco interiore”, addomesticato se così si può dire, ma anche protetto e alimentato…quanto basta, come insegnano gli antichi alchimisti. D’altronde, solo se il focolare di una casa era stato consacrato ad Estia, questo luogo era considerato sacro, una vera casa. Psicologicamente parlando, vuol dire che ognuno nella propria casa (corpo), deve addomesticare, proteggere e consacrare questo fuoco interiore alla dea del lume interno. Il centro di ogni casa, di ogni tempio, di ogni edificio pubblico era il focolare sacro, a lei dedicato. Quest’archetipo femminile è tanto grandioso e profondo , quanto è raro trovarlo rappresentato, rispetto a tutte le altre dee. Zeus la ricompensa riservandole il primo dono di ogni sacrificio rituale. Estia è una figura che basta a se stessa. La sua attenzione è rivolta all’interno e dà una sensazione di completezza e del poggiare su se stessa. Una donna Estia non si attacca emotivamente alle cose terrene, come ad esempio, le proprietà, gli status simbol, ecc. L’archetipo di Estia, forse è quello che più di tutti rende possibile una libertà interiore. Il fatto che Estia sia l’unica divinità dell’Olimpo non adorata in sembianze umane (ma solo come fuoco e luce) svelerebbe il suo aspetto redento, anche se potenzialmente problematico allo stesso tempo. Quindi Estia non possiede una “persona”, le manca la natura individuale a livello di caratteristiche. Ma cosa potrebbe voler dire? Forse che una donna, che si identifichi con questo archetipo abbia compreso che in fondo tutto è “uno” e che noi tutti proveniamo dalla stessa sorgente, alla quale ritorneremo, e che quindi tutti siedono intorno allo stesso fuoco. Nel linguaggio di Jung, potremmo dire che una donna Estia ha conosciuto il suo se stessa (che appunto abbraccia tutto) superando il suo ego ( che tra l’altro è sostenuto dalle delimitazioni e pregiudizi nei confronti degli altri). In ultima analisi, forse questo archetipo ci insegna (uomini e donne) che la felicità, quella autentica, da non confondere con la gioia, non si trova fuori, sulle strade del mondo, ma soltanto nel proprio cuore. Infine, credo che questo archetipo possa meglio di tutti gli altri, rappresentare simbolicamente la “grazia”, se con questa intendiamo un atteggiamento che sia il risultato di un dialogo armonico tra il fuoco interiore, il cuore e la testa.

Dott. Marco Franceschini

Anima come matrice della coscienza.

12049430_10206648582684750_9075228143707301831_nL’anima è un archetipo naturale che riassume in modo soddisfacente tutte le attestazioni dell’inconscio, dello spirito primitivo, della storia della lingua e della religione….Essa è sempre l’ELEMENTO A PRIORI degli umori dell’uomo, delle sue reazioni, e impulsi, e di tutto ciò che esiste di spontaneo nella vita psichica. È qualcosa che ha vita propria e che ci fa vivere; è una vita che è dietro la coscienza e che non può mai essere completamente integrata con questa, ma dalla quale, piuttosto, la coscienza emerge.
Dott. Marco Franceschini (Tratto da C.J. Jung, Opere Vol. 9).

Chi è veramente pazzo?

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Spesso capita di incontrare una persona e di vederla un po’ pazza. Magari perché si esprime in maniera inopportuna e fuori luogo, verbalizzando in modo sfrontato ciò che pensa della situazione e/o delle persone che la circondano in quel momento, assumendo atteggiamenti di cui noi, ci vergogneremmo a dir poco. Ma al di là del buon senso e dell’educazione, sicuramente importanti, potremmo riflettere e domandarci se quell’atteggiamento non possa essere L’UNICO POSSIBILE in questa società caratterizzata da conformismo e ipocrisia, laddove la comunicazione è diventata quasi “assurda e insostenibile” come affermato da P.Watzlawick.
Dott. Marco Franceschini

Cosa vuole l’amante?

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“…Chi si accontenterebbe di un amore che si desse come pura fedeltà all’impegno preso? Chi accetterebbe di sentirsi dire: ‘Ti amo,perché mi sono liberamente impegnata ad amarti e perché non voglio contraddirmi.Ti amo per fedeltà a me stessa?’. Così l’amante chiede il giuramento e si irrita del giuramento. Vuole essere amato da una libertà e pretende che questa libertà come libertà non sia più libera. Vuole insieme che la libertà dell’altro si determini da sé a essere amore – e questo, non solo all’inizio dell’avventura, ma a ogni istante – e,insieme, che questa libertà si imprigioni da sé, che ritorni su se stessa, come nella follia,come nel sogno, per volere la sua prigionia. E questa prigionia deve essere insieme rinuncia libera e incatenata nelle nostre mani. Nell’amore,non si desidera nell’altro il determinismo passionale o una libertà fuori portata: ma una libertà che gioca al determinismo passionale e che aderisce al suo gioco. E, per quanto lo riguarda, l’amante non pretende di essere la causa di questa modificazione radicale della libertà , ma di esserne l’occasione unica e privilegiata”. Evidentemente, cosa esige l’amante,secondo Sartre? Non di agire propriamente sulla libertà della sua amata, perché riconosce la libertà dell’altra anzi la desidera. No, l’amante desidera, forse, diventare l’oggetto che delimita il campo di questa libertà, quindi nelle parole di Sartre,vuole essere il”limite oggettivo” di questa libertà, il limite che essa deve accettare per essere libera.
Buona riflessione!

Dott. Marco Franceschini (tratto da: J.P. Sartre, L’essere e il nulla).

Ricadere nell’errore: una presa di coscienza?

Cappuccetto rossoLe fiabe si basano su alcune funzioni universali della psiche, senza che ci sia alcun ponte verso i contenuti di carattere più personale. Nel lavorare su una fiaba, quindi, ci si trova di fronte alla struttura fondamentale della psiche, una sorta di scheletro dal quale i muscoli e la pelle siano stati tolti, lasciando soltanto gli elementi di interesse generale. Le fiabe rappresentano perciò dei modelli di vita psichica del tutto astratti. In altre parole, le fiabe, se considerate con serietà, svelano il loro carico di significati inconsci ed esercitano una risonanza emotiva molto forte. Sono la rivelazione delle dinamiche archetipiche della psiche inconscia”.                             Inoltre, le fiabe possono essere considerate quale esempio di un’esperienza psichica che, a forza di ripetersi, potrà un giorno originare un equilibrio nel campo della coscienza. In maniera simile, a livello individuale, le persone cadono di continuo nel medesimo tranello e, nonostante sembri che, di volta in volta, abbiamo imparato la lezione, fatalmente ci ricascano di nuovo. Ma, a ogni caduta, forse guadagnano un po’ di terreno in più finché, dopo l’ennesima volta, non giungono ad esclamare:”Sono già stato qui e sono riuscito ad uscirne!”. Ogni ricaduta, quindi, corrisponde a una piccola presa di coscienza e contiene in sé una sorta di segreta conferma del mistero della personalità individuale. Qualcosa di piccolo e di apparentemente insignificante è mutato, ma la storia non finisce qui…

Dott. Marco Franceschini (Tratto da:Marie Louise Von Franz, L’Animus e l’Anima nelle fiabe, ed. Magi)