La voce degli inferiores

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“…Noi siamo umani non tanto in virtù delle nostre mete ideali, quanto per il difetto proprio della nostra inferiorità…Una volta ammesso che l’anima parla con la voce degli inferiores, di coloro che sono sottomessi, tenuti in basso e indietro, come i bambini, le donne, gli antenati e i defunti, gli animali, ciò che è debole e ferito, ripugnante e brutto, le ombre giudicate e imprigionate; una volta ammesso questo, il compito di ogni psicoterapia sarà allora quello di rimanere in contatto con questi inferiores, e da essi lasciarsi muovere ” (James Hillman)

Scienza o credenza?

12191073_10206815753503916_2116364161005490027_n“Più ci si inoltra nella comprensione della Psiche, più occorre essere cauti con la terminologia, perché è stata plasmata dalla storia e dai pregiudizi. Più si penetra nei problemi di fondo della psicologia, più ci si accosta a idee che sono segnate da pregiudizi filosofici, religiosi e morali. Ecco perché dobbiamo trattare con estrema prudenza certe cose”. (C.G. Jung) Questa riflessione di Jung rappresenta uno sfondo sul quale possiamo disegnare qualsiasi cosa, fino a far scomparire dalla vista lo sfondo stesso, ma allo stesso tempo far emergere la consapevolezza che è proprio da questo sfondo che prende origine il nostro disegno. E questo sfondo sul quale l’uomo ha costruito la propria realtà, così come se la rappresenta e se la “racconta”, modificandola e manipolandola nel tempo, si chiama storia, origine della coscienza. Bisognerebbe quindi rendersi conto che le formulazioni teoriche insieme alla loro terminologia, possono essere plasmate dai pregiudizi dell’epoca di riferimento e non solo. Anche la terminologia utilizzata e la concettualizzazione di ciò che costituisce il tema teorico, risente di questi pregiudizi. Jung quindi suggerirebbe la necessità di un lavoro che vada all’essenziale. Senza questo fondamentale lavoro di base accetteremmo inconsapevolmente moltissime ipotesi e relative teorie, plasmate da pregiudizi non solo di natura logica, ma anche di natura religiosa, filosofica ovvero epistemologica che inevitabilmente presiedono all’agire umano. Il pericolo non starebbe soltanto nella mancanza di accuratezza teorica o di efficacia clinica, ma soprattutto, ritengo, nell’adozione inconsapevole, di una struttura teorica complessa la cui origine e le cui implicazioni ci sono ignote.

Dott. Marco Franceschini

Rispettare il conflitto.

fidanzamentoSpesso, all’interno di una relazione abbiamo non poche difficoltà a rispettare l’altro per ciò che è, ovvero le differenze e gli inevitabili conflitti che nascono da queste. Paradossalmente, può succedere che il voler appianare certe differenze, di voler risolvere sempre tutto, possa alla fine generare problemi insormontabili e creare conflitti maggiori, fino all’intolleranza delle differenze che in ultima analisi vuol dire, non sopportare l’altro. Allora, forse, bisogna accettare che la differenza che c’è tra noi e l’altro è una differenza da salvaguardare e non da appianare. Alla luce di ciò, possiamo affermare che non è il conflitto ad essere pericoloso per una sana vita di coppia, ma il tentativo di reprimerlo con strategie che non fanno altro che soffocare l’identità dell’altro. Insomma, non siamo bravi perché in qualche modo siamo riusciti a cambiare un po’ l’altro, no, siamo bravi se riusciamo a cambiare la relazione con l’altro!

Dott. Marco Franceschini

Il progresso come un diavolo?

Frenesia41318Ci precipitiamo sfrenatamente verso il nuovo, spinti da un crescente senso di insufficienza, di insoddisfazione, di irrequietezza. Non viviamo più di ciò che possediamo, ma di promesse, non viviamo più nella luce del presente, ma nell’oscurità del futuro, in cui attendiamo la vera aurora. Ci rifiutiamo di riconoscere che il meglio si può ottenere solo a prezzo del peggio. La speranza di una libertà più grande è distrutta dalla crescente schiavitù allo stato, per non parlare degli spaaventosi pericoli ai quali ci espongono le più brillanti scoperte della scienza. Quanto meno capiamo che cosa cercavano i nostri padri e i nostri antenati, tanto meno capiamo noi stessi, e ci adoperiamo con tutte le nostre forze per privare sempre di più l’individuo delle sue radici e dei suoi istinti, così che diventa una particella della massa, e segue solo ciò che Nietzsche chiama lo “spirito di gravità”. I miglioramenti che si realizzano col progresso, hanno una forza di persuasione immediata, ma col tempo si rivelano di dubbio esito e in ogni caso sono pagati a caro prezzo. In nessun modo contribuiscono ad accrescere l’appagamento, la contentezza, o la felicità dell’umanità nel suo insieme. Per lo più sono addolcimenti fallaci dell’esistenza, come le comunicazioni più veloci che accelerano il ritmo della vita e ci lasciano con meno tempo a disposizione di quanto non ne avessimo prima. Omnis festinatio ex parte diaboli est: tutta la fretta viene dal diavolo! 

Dott. Marco Franceschini (tratto da: C. G. Jung, Ricordi, Sogni, Riflessioni)

Malattia e incapacità di immaginazione

Mistero3_003Sentiamo e attingiamo la voglia di vivere non  solo grazie alla capacità di concretizzare un qualsivoglia progetto, ma alla capacità di proporsi uno scopo, dal piacere che ogni volta percepiamo nell’immaginare una nuova idea.  Per cui,  se non riusciamo già a provare piacere nell’immaginazione dell’altro, se non immaginiamo col cuore, come si può pretendere di provare piacere in un incontro concreto con la stessa persona e addirittura ad amarla? Vorrei qui sostenere, al di là delle altre letture riportate, che la malattia esprime la nostra parziale incapacità di immaginare con amore. La malattia allora potrebbe esprimere, tra le altre cose, il nostro pregiudizio immaginale, per cui non ci permettiamo il piacere dell’immaginazione. E ciò difficilmente non ha effetti sul concretismo, infatti: “così dentro, così fuori, così in alto così in basso”. Scopo della vita di ogni uomo è quello di realizzare il proprio processo di individuazione ovvero vivere in sintonia con la propria essenza, il proprio Sé. Non è un compito facile ed è per questo che ci vengono incontro le immagini archetipiche, i sintomi, i sogni, per darci delle coordinate, le quali possono essere “personalizzate” in base alla natura dei nostri complessi individuali, in altre parole, in base alle nostre attitudini personali con le quali diamo forma a ciò che facciamo. Ai fini della formazione di una personalità autentica e “affinché l’individuo abbia conoscenza e consapevolezza della preziosità del proprio essere singolare, occorre ciò che Jung ha definito “integrazione dell’Ombra”, il processo di individuazione. A tal fine bisogna, in definitiva, accogliere i processi trasformativi che la psiche, attraverso l’Anima mette in atto autonomamente, traghettandoci da “una relativa inconscietà, ad una maturità, cioè ad una presa di coscienza del proprio destino individuativo”. Ma per accogliere benevolmente tali immagini occorre una capacità immaginativa scevra da pregiudizi e tendenze a letteralizzare le immagini stesse ovvero la tendenza a confondere un immagine con qualcosa di concreto, con qualcosa che si può esprimere solo su un piano fisico e materiale, ciò che in altre parole chiamiamo incapacità di simbolizzare.

Dott. Marco Franceschini

 

La coscienza afroditica…una via verso la conoscenza

veronese_venere In questa opera di Paolo Caliari, detto il Veronese (1585), la bellezza di Venere molto spesso viene rappresentata attraverso il suo guardarsi nello specchio, aiutata dal piccolo Eros. Tale visione o interpretazione, ha spesso confuso l’ipotetico osservatore che ne ha tratto la inevitabile conclusione sull’effimera vanità della Dea. In genere, l’osservatore è convinto che Venere stia osservando il suo riflesso; invece, proprio perché l’osservatore vede il volto di Venere nello specchio, vuol dire che la dea sta  guardando a sua volta l’osservatore medesimo.                                                                    E’ noto che l’effetto Venere è un fenomeno della psicologia della percezione.
Alcuni esempi di tale effetto si ritrovano nei dipinti “Venere e Cupido” di Velázquez, Venere allo specchio di Tiziano e Venere allo specchio del Veronese.
In definitiva,  se la dea ti osserva usando la sua apparente vanità e incontestabile bellezza, se necessita di questa strategia, ciò indicherebbe che la bellezza nasconde il desiderio di conoscenza; in questo  l’amore è il suo complice, (Eros), il quale “riflette”, attraverso il desiderio dell’altro, il proprio bisogno di individuazione e forse anche di conciliazione tra la persona e l’Anima Mundi. Come a dire che senza l’amore e il desiderio dell’altro, non può esserci né bellezza né conoscenza!

Dott. Marco Franceschini

Guerra e amore. L’aspetto estetico della guerra.

467px-David_Marte_disarmato_da_VenereIl 30 Luglio 1932 Einstein scriveva a Freud:”…esiste un modo per dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e alla distruzione?”Il quesito posto dal grande scienziato fa riflettere sul quesito del perché la guerra. In questo articolo, lungi da me la presunzione di rispondere, ma sicuramente quella di una riflessione a partire da un grande maestro e fondatore della psicologia archetipica, James Hillman. Così, parlare di guerra vuol dire anche parlare di pace e disarmo che però non avrebbe senso se non si penetra prima profondamente nell’immagine archetipica della guerra.  Non è possibile comprendere l’attrazione che l’uomo ha da sempre verso la guerra se non ci si cala nella prospettiva marziale. In questo stato psicologico bisognerebbe calarsi in modo altrettanto ritualistico, come per un matrimonio, oppure nel pronunciare una diagnosi di pazzia, cioè bisogna “arruolarsi psicologicamente”. In questi casi pronunciamo la stessa parola: “Vi dichiaro marito e moglie”; dichiarazione di pazzia, così come va dichiarata la guerra. Per comprendere il fenomeno innato e archetipico della guerra, si potrebbe utilizzare il consiglio dettato dalla psicologia, cioè approcciandosi al fenomeno in modo empatico, così da poter essere pensato e immaginato senza pregiudizi! Per conoscere veramente un fenomeno non possiamo certo girarci intorno, piuttosto bisogna entrarci dentro e andare fino in fondo, fino ad assumere una visione “in trasparenza”. Con lo spirito del Ta’Wil, secondo il quale tutte le cose vanno ricongiounte alla loro fonte/immagine originaria, possiamo giungere all’archetipo originario: Marte/Ares.  D’altronde, come afferma Hillman:”Nessun fenomeno psichico può essere veramente distolto dalla sua fissità se prima non spingiamo l’immaginazione fino al suo cuore..”.  E poi, a partire dalla Bibbia stessa troviamo immaginari di guerre, battaglie e condottieri, per arrivare al Nuovo Testamento dove l’Apocalisse rappresenta la ricapitolazione che culmina nella grande battaglia dell’ Armageddon. Anche in aspetti più elevati dell’uomo, come nell’induismo e nella filosofia platonica si rende necessaria all’umanità una classe di guerrieri con particolari virtù. A livello archetipico amore e guerra sono stati abbinati a Venere e Marte, Afrodite e Ares; tale mito lo si ritrova negli slogan: “fate l’amore non la guerra”; “in amore e in guerra tutto è permesso”. Questi slogan però mettono in opposizione la coppia Marte e Venere creando una separazione, fatto ormai ovvio nella nostra società! Tornando a Marte, si può scorgere paradossalmente un certo amore per la vita anche se  dalla prospettiva della battaglia e ciò non dovrebbe risultarci strano se teniamo a mente la legge dell’enantiodromia.  E poi, a proposito del lato estetico ovvero della bellezza che si relaziona con la guerra (Marte-Venere) non è forse vero che nelle caserme, nelle sfilate d’onore, si presta molta cura per le camice stirate, i colletti e polsini perfetti, la divisa impeccabilmente bella e stirata con tanto di spille dorate e scarpe lucidatissime? Non è forse vero che nell’immaginario collettivo i cadetti in libera uscita mostrano i loro abiti pavoneggiandosi un po’? Quelli che nel gergo americano vengono chiamati: “i nostri ragazzi”. Non si dice, il fascino della divisa? Avendo fatto il militare lo posso testomoniare in prima persona. Ma allora, questi bellissimi soldati che sembrano uscire da una sfilata di moda, sono figli di Marte o di Venere? Io dico che sono figli di entrambi, anche se la nostra società letteralizzante ha tentato di dividerli (fate l’amore non la guerra). Forse bisognerebbe riflettere più attentamente sugli aspetti estetici di Marte! Per non parlare degli accessori e dei lustri che caratterizzano, lance, coltelli, fucili, sciabole, e così via. E poi, pensiamo a tutte le ricompense per aver ucciso: medaglia all’onor militare, Croce d’oro della Regina Vittoria, Croce di guerra; pensiamo alla musica: il silenzio, l’alza bandiera, inno degli alpini, tamburi, trombe, bande militare e così via. Inoltre, la storia militare è un atelier di abiti e accessori:gli stivali di Wellington, il Montgomery, il colbacco napoleonico, i berretti verdi, le giubbe rosse fino ai caschi blu. Per non parlare delle maniere e dei ritualismi degni del tempio di Afrodite: “Signor si”, lo sbattere dei pidi, lo stare sull’attenti, il segnare il passo e così via. Le grandiose mura e le fortezze “severamente belle” costruite dal Brunelleschi, da Leonardo, da Michelangelo. Cavalli bardati, tacche sul calcio del fucile, stemmi colorati, lettere dal fronte, poesie. Tutto così ordinato e tirato a lucido; lo scudo di Achille che porta inciso il mondo intero. Insomma la guerra appare in forme gloriose, come nell’impero romano. Sicuramente la guerra è caratterizzata da uomi bellicosi, ma non violenti. Questa appartiene alla delinquenza. Come affermato sempre da Hillman:”Il nostro odio per la guerra ci fa usare violenza contro la guerra stessa. Il desiderio di porre fine alla guerra fu una delle principali motivazioni del progetto di Los Alamos e della decisione di Truman di sganciare la bomba su Hiroshima e su Nagasaki, una bomba per salvare vite umane, una bomba per fermare le bombe,, come l’idea di una guerra per porre fine a tutte le guerre…I nostri discorsi ipocriti su argomenti tipo “fattori di pace” riflettono sinceramente il nostro modo di pensare. La guerra è male, sterminiamo la guerra e manteniamo la pace con la violenza: spedizioni punitive, attacchi preventivi, mandiamoci i marines!! Maggiore potenza di fuoco significa pace più certa. Noi mettiamo in scena la cecità del dio cieco (Mars caecus, lo chiamavano i romani; e anche Mars insanus, furibundus, omnipotens). L’apocalisse non è necessaria alla guerra. Marte vuole la battaglia, non l’annientamento e nemmeno la vittoria, nike appartiene ad Atena, non a Marte!…Infine, mentre il nuclearismo produce una sorta di “intorpidimento psichico”, sbigottimento, ambiguità, inconsapevolezza, Marte opera esattamente in direzione contraria. Conferisce intensità ai sensi e acuisce il sentimento di solidarietà nell’azione: quella di vivificazione piena di energia che i romani chiamavano Mars Nerio e Mars Moles, molare, massiccio, che fa succedere le cose: la mobilitazione. Marte offre una risposta al senso di disperazione e di disorientata impotenza che proviamo di fronte alle armi nucleari le quali risvegliano in noi la paura (Fobos, compagno o figlio di Marte). Marte è l’istigatore, l’attivista primordiale, in altre parole è il dio degli inizi, il segno dell’ariete. I suoi mesi sono marzo e aprile, Mars Apertus, l’aprire, il far succedere le cose.

Dott. Marco Franceschini (tratto da J. Hillman)

Ombra e proiezione

12509275_10207289391344566_3926640702147337142_nL’ombra fa si che tutte le intenzioni e gli sforzi dell’uomo si trasformino alla fine nel loro opposto. Tutte le manifestazioni che derivano dall’ombra vengono dall’uomo proiettate su un anonimo “male” che esisterebbe nel mondo, in quanto ha paura di trovare in se stesso la vera fonte di ogni aspetto negativo. Tutto ciò che l’uomo non vuole e non desidera, deriva dalla sua propria ombra, che è la somma di ciò che egli non vuole avere. Però il rifiuto di confrontarsi con una parte della realtà e di viverla non porta affatto a nessun successo. Al contrario, le realtà rifiutate costringono l’uomo ad occuparsi di loro in maniera particolarmente intensa. Questo avviene per lo più attraverso il circuito vizioso della proiezione, perché se si è rifiutato e represso in sé un determinato principio, fa sempre paura incontrarlo di nuovo nel cosiddetto mondo esteriore.

Rapporto “Io-Sé”.

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Poiché l’Io è solo il centro del campo della mia coscienza, esso non è identico alla totalità della mia psiche, ma è soltanto un complesso fra altri complessi. Distinguo quindi fra l’Io e il Sé, in quanto l’Io è solo il soggetto della mia coscienza, mentre il Sé è il soggetto della mia psiche totale, quindi anche di quella inconscia. In questo senso il Sé sarebbe un entità (ideale) che include l’Io. Nelle fantasie inconsce il Sé appare spesso come una personalità di grado superiore o ideale: così Faust in Goethe e Zarathustra in Nietzche.
C.G. Jung