FIBROMIALGIA. UN MAL DI VIVERE?

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La parola fibromialgia  è composta da: fibro (latino:fibra) + Mi(o) (greco:muscolo) + algia (greco:dolore). Letteralmente significa: dolore alle fibre muscolari. Nella fibromialgia non c’è danno biologico, ma sintomi che nascono come reazione al mal di vivere, esattamente come nella sindrome da fatica cronica. Coloro che ne soffrono non sono per nulla coscienti della relazione tra la loro insoddisfazione, la rabbia ed il sintomo doloroso, ed è per questo che rientra nei cosiddetti disturbi di somatizzazione. Una buona parte di queste persone è totalmente all’oscuro del meccanismo che li tiene in allarme perenne, con i muscoli contratti anche mentre dormono. Alla base della fibromialgia c’è una paura prima mai percepita, la quale si esplicita attraverso il dolore che per le sue caratteristiche assorbe tutta l’attenzione del soggetto colpito, impedendogli un corretto adattamento alla vita. Questa paura che genera sofferenza anche fisica è fondamentalmente legata alla sensazione di non poter scegliere, si ha come la sensazione di non poter agire sulla propria vita, di esserne cioè solo spettatori e non gli attori protagonisti. A volte le persone si sentono in balia delle onde piuttosto che al timone della propria nave. Basta un trauma in più e si scatenano i sintomi. Tra l’altro, sia la scarsa adattabilità che la mancanza di strategie idonee a combattere lo stress vitale, contribuiscono all’insorgere del dolore e questo non fa altro che rendere ancora più vulnerabile la persona che lo sperimenta, iniziando così una specie di “calvario” tra un ambulatorio e l’altro, con la speranza di trovare una cura che magicamente faccia sparire il dolore. Ma attualmente non esiste un vero e proprio protocollo per la cura di questa sindrome. Ai fini di una cura, al di là di un intervento medico (omeopatia, allopatia, naturopatia, ecc.) sicuramente necessario per gestire la sintomatologia, è auspicabile un percorso di psicoterapia con uno psicoterapeuta esperto. L’approccio che propongo è la sintesi tra: 1) La psicologia di Jung, soprattutto riguardo il “processo di individuazione”; la relazione con l’”Ombra”; 2) L’importanza di considerare le malattie come opportunità di crescita personale; 3) La psicoterapia archetipica, dove le immagini (archetipiche) sotto forma di  “divinità non ancora riconosciute”  rivestono un ruolo fondamentale. 4)La psicoterapia intersoggettiva (S. Ferenczi, Balint; Winnicott); 5) l’omeopatia, la filosofia orientale. L’epistemologia che è alla base di questo approccio è quindi complessa, così come è complessa la sindrome fibromialgica.  In linea con questi orientamenti, i sintomi sono visti come indicatori di uno squilibrio psico-fisico, ma soprattutto di un’immaturità psichica derivante dal fatto che la persona esclude dalla coscienza alcune immagini psichiche fondamentali, depositandole nell’ombra, ovvero nel corpo come parte di una polarità non gradita. Per cui, secondo una prospettiva finalistica e non quindi causalistiica, paradossalmente la malattia avrebbe un fine soltanto, quello di farci guarire.

Dott. Marco Franceschini

La bara di vetro

angelo_morte2Se non si è psicologicamente separati dai “genitori primordiali”, archetipici, non sarà possibile entrare in una  relazione pienamente adulta con loro e sarà difficile superare la paura  di cambiare ciò che non va nella propria esistenza; tuttavia il timore della trasformazione  appartiene più o meno a tutti,  in diverse fasi dello sviluppo e con diverse modalità, basti pensare alla continua apprensione nei confronti del futuro, alla cura con cui gestiamo il presente per evitare imprevisti futuri;  a come ci impediamo grossi sconvolgimenti emotivi, magari con comportamenti preventivi, oppure alla riluttanza di fare scelte rischiose. Ma forse il più grande rischio che possa correre l’uomo è proprio quello di non voler rischiare mai.                                                                                                                           Nella mia esperienza clinica ho potuto osservare che molte persone con disturbi funzionali,con dolori cronici o altro,(sindrome da stanchezza cronica, fibromialgia, sintomi psicosomatici, attacchi di panico, depressione,ecc), vivono come all’interno di una “bara di vetro”  per non rischiare di fare scelte in sintonia con la propria anima, vivendo così in una pesantezza “plumbea” tanto da far fatica a camminare, quindi con una compromissione della relazione con il mondo circostante. La bara come contenitore che, da un lato protegge dai pericoli che sono lì fuori il mondo, dall’altro soffoca il proprio sviluppo, soffocando la voce ovattata nella bara sigillata, così che questa voce non può essere udita. Forse bisognerebbe affidarsi al proprio angelo interiore, a quel messaggero, a quella preziosa risorsa psichica che Sandor Ferenczi chiamava Orpha, la quale ci potrebbe aiutare ad orientarci in modo più vantaggioso al di fuori della bara di vetro.

Dott. Marco Franceschini

Malattia e incapacità di immaginazione

Mistero3_003Sentiamo e attingiamo la voglia di vivere non  solo grazie alla capacità di concretizzare un qualsivoglia progetto, ma alla capacità di proporsi uno scopo, dal piacere che ogni volta percepiamo nell’immaginare una nuova idea.  Per cui,  se non riusciamo già a provare piacere nell’immaginazione dell’altro, se non immaginiamo col cuore, come si può pretendere di provare piacere in un incontro concreto con la stessa persona e addirittura ad amarla? Vorrei qui sostenere, al di là delle altre letture riportate, che la malattia esprime la nostra parziale incapacità di immaginare con amore. La malattia allora potrebbe esprimere, tra le altre cose, il nostro pregiudizio immaginale, per cui non ci permettiamo il piacere dell’immaginazione. E ciò difficilmente non ha effetti sul concretismo, infatti: “così dentro, così fuori, così in alto così in basso”. Scopo della vita di ogni uomo è quello di realizzare il proprio processo di individuazione ovvero vivere in sintonia con la propria essenza, il proprio Sé. Non è un compito facile ed è per questo che ci vengono incontro le immagini archetipiche, i sintomi, i sogni, per darci delle coordinate, le quali possono essere “personalizzate” in base alla natura dei nostri complessi individuali, in altre parole, in base alle nostre attitudini personali con le quali diamo forma a ciò che facciamo. Ai fini della formazione di una personalità autentica e “affinché l’individuo abbia conoscenza e consapevolezza della preziosità del proprio essere singolare, occorre ciò che Jung ha definito “integrazione dell’Ombra”, il processo di individuazione. A tal fine bisogna, in definitiva, accogliere i processi trasformativi che la psiche, attraverso l’Anima mette in atto autonomamente, traghettandoci da “una relativa inconscietà, ad una maturità, cioè ad una presa di coscienza del proprio destino individuativo”. Ma per accogliere benevolmente tali immagini occorre una capacità immaginativa scevra da pregiudizi e tendenze a letteralizzare le immagini stesse ovvero la tendenza a confondere un immagine con qualcosa di concreto, con qualcosa che si può esprimere solo su un piano fisico e materiale, ciò che in altre parole chiamiamo incapacità di simbolizzare.

Dott. Marco Franceschini

 

Endometriosi. Una lettura psicologica.

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L’endometriosi sembra in continuo aumento ed oggi è tra le prime cause di sterilità femminile. Si tratta della mucosa dell’utero che si posiziona all’esterno rispetto a dove dovrebbe posizionarsi e nonostante ciò, continua a partecipare agli eventi mestruali. Per cui, durante il ciclo mestruale, dal momento che tutto ciò rende difficile lo smaltimento della mucosa, è facile avere dolori mestruali (dismenorrea),ma anche dolori durante i rapporti intimi. L’endometrio superfluo che normalmente viene trasportato all’esterno insieme al flusso mensile, in questo caso invece blocca alcune zone, causando l’arresto del flusso e della mucosa con conseguente infiammazione. In che modo la mucosa arrivi nei luoghi sbagliati, la medicina convenzionale lo ignora quasi del tutto. Comunque, l’impressione che ne risulta è quella di una formazione benigna di metastasi che però non cresce in maniera espansiva ed invasiva come il cancro. Nel caso dell’endometriosi, simbolicamente si tratta di una femminilità inconscia nel luogo sbagliato e quindi pericoloso. Qui la donna mette in pratica le proprie regole in posti dove sono fuori luogo e dove danneggiano soprattutto se stessa. L’interessata rivolge la sua femminilità contro se stessa. L’evento patologico insegna anche che le attività tipicamente femminili costringono il polo opposto (polo maschile) ad entrarci nel punto sbagliato. Gli effetti collaterali della femminilità su di un piano errato, sono per l’organismo indomabili e lo smaltimento dei prodotti di scarto dello scambio ritmico della mucosa è spesso possibile solo chirurgicamente (polo maschile). La chirurgia d’altronde esprime al massimo la medicina d’azione, un’attività archetipicamente maschile. Se ci riflettiamo si tratta di una femminilità “impazzita”, nel senso dell’endometriosi costringe quindi a ricorrere ad interventi chirurgici che asportano il “tessuto femminile”, per rendere la vita della donna sopportabile! I frequenti dolori durante il rapporto sessuale dimostrano i conflitti esistenti in quest’ambito (femminile). Il suo bacino grida , per così dire, aiuto, quando un uomo vi penetra! Inconsciamente lei questo  non lo vuole e alla fine lo impedisce. A questo proposito sarebbe senz’altro più salutare, tenere lontano, in modo consapevole, da sé, dal proprio corpo, ossia dal proprio bacino, gli “invasori maschili”. La dismenorrea dimostra inoltre quanto dolorosamente sia percepito il tributo di sangue maschile. La sterilità, che spesso ne risulta, le dimostra fino a che punto lei blocchi la fecondità archetipicamente femminile. Se lei continua a murare chiudendo il suo bacino a figli e prima ancora agli uomini, si sottrae inconsciamente ad un compito archetipico femminile. Questo lo dovrebbe fare preferibilmente in modo consapevole, anche in modo offensivo, se non altro per risparmiarsi tutti gli strapazzi che derivano dal mettere in scena i sintomi fisici.  Insomma, ci può essere il sospetto che essa dedichi troppo poco tempo al lato femminile (inteso psichicamente: ad esempio, vedi il mito di Psiche e Eros), cosicché questo diventi talmente forte e compaia dovunque per forzare la dedizione, che gli è stata negata spontaneamente. Qui c’è qualcuno che soffre per le regole femminili ed inoltre l’unico maschile che può “entrare” liberamente…è il chirurgo! Sappiamo, che per quanto riguarda l’Isteria, questa sindrome trova giovamento quando si lavora sul piano del femminile in psicoterapia; al riguardo, l’endometriosi potrebbe anche essere vista come una forma d’isteria della sensitività non vissuta e della vulnerabilità sprofondata nel corpo. L’antica teoria secondo la quale l’isteria si produceva  attraverso l’utero (dal greco hystera) vagante liberamente nel corpo, assume sul piano dei principi primari, un aspetto interessante. In fondo, nel caso dell’endometriosi, la mucosi uterina sparpagliata va a finire perfino nel cervello. Questo può essere inteso come un forte grido d’aiuto nell’organismo che chiede una presa di coscienza della propria femminilità. Colpita dall’endometriosi(e non solo) è anzitutto la donna piuttosto attiva, che si appella spesso al polo maschile d’azione (animus), il quale non si fa pregare e mette in gioco tutto il suo arsenale di metodi tecnici (polarità maschile), dall’endoscopia all’ecografia, fino alla biopsia e l’intervento chirurgico (attività simbolica maschile per eccellenza!). Le pazienti in genere, tranne poche eccezioni, non hanno quasi per nulla intenzione di avvicinarsi alla conoscenza della psiche (polo femminile). Anche in questo caso, si palesa quanto sia estraneo il mondo femminile.

Dott. Marco Franceschini (tratto da: Dr. Volker Zahn, Professore di Ginecologiaall’Ospedale Elisabeth Krankenhausdi Straubing (primo ospedale ecologico della Baviera. Dr. Rudiger Dahlke, medico nel Centro Terapeutico di Johanniskirchen) )

Malattia come strumento di guarigione.

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In francese, malattia si scrive maladie, ma Michel Montaud (medico-chirurgo francese) sottolinea che si può scrivere anche ‘mal a dit’ (male ha detto). Per cui, quando la malattia tace, vuol dire che è stato integrato dalla persona ciò che la malattia aveva da comunicare, per cui si è guariti. Altrimenti continuerebbe a parlare. Quando si dice che il messaggio è stato integrato, non si intende che è stato compreso a livello solo cognitivo. Contrariamente a quanto si pensa, ovviamente la coscienza non si trova nella testa, ma in ogni singola cellula del nostro corpo. Più cellule formano un tessuto, diversi di questi un organo, più organi formano un sistema e così via fino all’organismo completo. Per questo ci sono diversi livelli di funzionalità psico-fisica integrati tra di loro. Edward Bach (quello dei fiori per intenderci), in una conferenza affermò che: “liberata da ogni connotazione di cattiveria e crudeltà, questa appare come lo strumento scelto dall’anima per segnalare uno smarrimento per impedire di cadere in errori più gravi e per ricondurci sul cammino della verità e della luce, dal quale non ci sarebbe mai dovuti allontanare”. Evidentemente E. Bach, vede la malattia come uno strumento scelto dall’anima per aiutare l’essere umano e non una punizione divina.

Dott. Marco Franceschini

Il linguaggio della pelle… Storia della nostra personalità.

11700945_868598599842650_8884029779642971177_nLa pelle è il confine della nostra sfera individuale, ma è anche quel medium altamente sensibile che ci permette di entrarvi in con-tatto per realizzare gli scambi indispensabili a ogni processo vitale. Bisogna ricordare che la pelle è il più sensibile dei nostri organi, il primo mezzo di comunicazione, il più efficiente dei nostri mezzi di protezione. Inoltre, il senso più importante del nostro corpo è il TATTO !! Il contatto corporeo è la forma più antica di comunicazione sociale. Se privato della mediazione tattile, il bambino sarà deprivato di strategie di conoscenza della realtà circostante, minando il senso di sicurezza interiore. Non solo, perché come dimostrano gli esperimenti condotti in alcuni paesi europei e soprattutto in Germania e Inghilterra, (purtroppo), il bambino deprivato del tatto, muore entro l’adolescenza! Date queste premesse, possiamo ammettere che la corporeità è soprattutto comunicazione: è il luogo privilegiato di tutto l’esprimersi della persona; come dice Galimberti:“in ogni gesto c’è tutta la mia relazione col mondo, il mio modo di vederlo, di sentirlo, la mia eredità, la mia educazione, il mio ambiente, la mia costituzione psicologica” e, aggiungo io, la mappa della mia vitalità. I problemi della corporeità sono essenzialmente i problemi della comunicazione.
Dott. Marco Franceschini