Carriera o famiglia? La donna Era

era

Era io canto, dal trono d’oro, che Gea ha generato,

regina immortale che ha la bellezza suprema;

di Zeus dal tuono profondo sorella e consorte,

dea gloriosa, che tutti i beati nel vasto Olimpo,

venerandola, onorano al pari di Zeus che gioisce del fulmine.

(Inni Omerici)

La donna Era (la moglie di Zeus) oggi corrisponde a quella donna che si sente completa e realizzata attraverso il matrimonio o comunque all’interno  di una relazione importante. Ma l’archetipo di Era si manifesta soprattutto e pienamente nella seconda parte della vita di una donna . La donna Era, ammira gli uomini forti e ambiziosi e ha un così forte desiderio di un rapporto di coppia che può mettere tranquillamente in secondo piano la propria carriera. Investe la maggior parte della sua energia nel matrimonio e quindi al proprio nucleo familiare.  A livello superficiale è facile confonderla con la donna Atena, soprattutto quando è molto giovane, infatti sono entrambi brillanti e piene di energia, apprezzano la cultura e gli uomini di un certo “spessore”. Ma in senso più profondo le loro ambizioni sono diverse. La donna Atena spenderà quasi tutte le sue energie per specializzarsi e fare carriera, la donna Era, benché spesso colta e istruita comincerà, ad un certo punto della sua vita, ad investire importanti energie psichiche intorno al tema della famiglia e soprattutto sull’idea di una relazione con un uomo stimabile.  In altre parole, la differenza tra questi due archetipi consiste nel fatto che mentre una donna Atena utilizza le sue energie per perfezionarsi sul lavoro, la donna Era incanala queste stessa energia di perfezionamento, all’interno del matrimonio. Questo non significa che la donna Era sia meno ambiziosa della donna Atena, ma piuttosto che le sue ambizioni includono un marito, dei figli e una famiglia. In questo senso, contrariamente a ciò che si potrebbe facilmente pensare, la donna Era è molto più ambiziosa di sua sorella Atena, in quanto vuole tutto: una casa comoda, la sicurezza, gli amici, un marito meraviglioso,  dei figli intelligenti e  un lavoro. Allo stesso tempo è abbastanza realistica, per cui si rende conto che talvolta non si può avere tutto, così nella sua gerarchia delle preferenze mette al primo posto la relazione con il marito.                                                                                                                                                                                          Al contrario della sorella Atena, la quale ha spesso un rapporto ambivalente con il marito e con i figli, la donna Era dimostra esplicitamente la sua dedizione al compagno e ai figli, esigendo comunque obbedienza e buona educazione. Dal momento che si preoccupa dello status sociale e la rispettabilità, spesso diventa troppo severa sia con il marito che con i figli, perché, un po’ in modo presuntuoso, si aspetta che questi riflettano i suoi valori  nel miglior modo possibile. Da un punto di vista della personalità, non è difficile riscontrare in queste donne dei tratti narcisistici: infatti, quando Era esige di essere ben rappresentata dai suoi figli o da suo marito, alimenta il sospetto che nel profondo non sia poi così a suo agio con se stessa.

Marco Franceschini

 

Riferimenti bibiografici:B. Woolger, La dea sulla terra, ed. Castelvecchi                                                                                                                                 Inni Omerici, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori Editore                                                                                                       J. Bolen, Le dee dentro la donna, Ed. Astrolabio

 

DISPERAZIONE…FIGLIA DELLA SPERANZA

8190afe263_1762027_medCon la depressione tocchiamo il fondo e toccare il fondo significa rinunciare all’idea cristiana di resurrezione, ma significa anche rinunciare all’idea  che, alla fine del tunnel, dobbiamo a tutti i costi aspettarci di trovare la luce. Questa aspettativa, forse, è più deleteria della depressione stessa. Se riusciamo ad eliminare queste fantasie di “luce”, ecco che la depressione diventa subito meno buia. Se non c’è speranza, non c’è neppure disperazione. Il messaggio di speranza del cristianesimo non fa che rendere più buia la disperazione; il messaggio di speranza, diventa così, il miglior alleato dell’industria farmaceutica. Si, perché il farmaco dà speranza e questa genera disperazione – in quanto la speranza è un meccanismo con il quale ci si può anche autoingannare e deresponsabilizzare, in quanto concentrandosi su questo sentimento si perde l’energia per fare…aspettando – viceversa, la disperazione facilitata dalla speranza induce a consumare farmaci. Insomma un circolo vizioso. Quindi, per deduzione, la speranza è alleata dell’industria farmaceutica

Dott. Marco Franceschini
Riferimenti bibliografici: J. Hillman, Fuochi Blu, Ed. Adelphi

Afrodite, la dea dissacrata.

cache-cache_194d8721736f745d388d69d112de08bc_d912fcbaf02d2f8653450b8f6484d132Forse nessuna dea è stata amata come lei, Venere-Afrodite, così come nessuna altra è stata raffigurata, rappresentata da artisti di tutte le epoche. In altre parole, è stata la più dipinta e anche la più scolpita. Ma oggi Afrodite non la possiamo cercare sull’Olimpo, ma a Hollywood, nelle soap opera, nei romanzi rosa, nella pornografia, per strada, ecc. Le riviste di moda stravedono per lei. I pornografi e i protettori la sfruttano senza scrupoli. Nessuna dea così intima è stata resa così pubblica. Eppure i Greci anticamente avevano un forte senso della sessualità, intesa cioè come un dono sacro e non come merce da sfruttare, non a caso veniva adorata. Ma tra noi e i greci antichi c’è stato il cristianesimo, i cui fondatori erano inorriditi dall’amore liberale di Afrodite, per il corpo e il piacere sessuale. Così, per quasi duemila anni, la cultura occidentale ha imparato a reprimere qualunque impulso associabile a questa. Oggi però, come parte di una reazione già iniziata nel secolo scorso, siamo passati dalla privazione all’eccesso. La Chiesa cattolica, introducendo il culto della Vergine Maria, costrinse Afrodite alla clandestinità, e la sua immagine diffamata venne mantenuta ossessivamente viva nelle sadiche fantasie degli inquisitori. Infatti, una volta massacrati gli eretici, essi si dedicarono a scovare i seguaci della dea, presumibilmente le streghe. Come è noto, si credeva che le streghe partecipassero a orge con il diavolo, con il quale avevano ogni tipo di rapporto sessuale possibile. Meno noto è che queste storie derivano tutte da confessioni strappate a donne innocenti mediante orribili torture sotto la supervisione del sacerdozio dell’epoca. Chiaramente, in termini psicologici, i sacerdoti proiettavano le loro perverse fantasie sessuali represse sulle donne, per poi punirle per questo, spesso con umilianti torture sessuali. Neanche i crimini razziali nazisti sono equiparabili per intensità all’odio sessuale in cui sprofondarono le cosiddette guide spirituali del tardo Medioevo. Oggi assistiamo ad un conflitto apparentemente insanabile: il patriarcato non può vivere senza di lei, ma nemmeno con lei.

Dott. Marco Franceschini

Riferimenti Bibliografici.

Omero, gli Inni omerici.

B. Woolger e J. Woolger, La dea sulla terra.

 

VARCARE LA SOGLIA

9420“…Talvolta non riusciamo a capire ciò che ci manca e allo stesso tempo aneliamo a qualcosa…di misterioso.
Nelle fiabe, Cenerentola attende il principe, Geppetto desidera un figlio e Telemaco va alla ricerca di Ulisse,mentre il principe va alla ricerca del tesoro. Il Cercatore che è in noi ci stimola a cercare il nostro Graal, a scalare una montagna o navigare per mare, ad approfondire il sapere, a superare le frontiere, ad andare oltre l’ovvietà e la mediocrità. Quando si attiva l’archetipo del Cercatore,non possiamo più rimanere impigliati nella rete del conformismo perché il compito diventa la fedeltà ad una verità più profonda e allo stesso tempo più alta, che poco ha a che fare con le aspettative sociali e familiari. Perché dunque l’immagine della crisalide (umana)? Perché la trasformazione del bruco in farfalla rappresenta una trasformazione spirituale: la morte del livello fisico e della consapevolezza parziale dell’Io a vantaggio della psiche liberata. Infatti nelle civiltà antiche la farfalle rappresentava il simbolo della “psiche liberata”.
Dott. Marco Franceschini

IL PROBLEMA DELLA FEDE

Nella sua intervista con Laura Pozzo, Hillman ricorda che i Greci non erano obbligati a credere nei loro dèi. Non dicevano “Io credo in…”, un’affermazione introdotta dal Cristianesimo. Non avevano una teologia, ma una mitologia. E noi abbiamo bisogno di conoscere la nostra vita psichica non in modo teologico, ma in modo mitico. Quando qualcosa si manifestava (una voce, un’immagine, un sogno) gli rispondevano. Come si diceva, se Marybelle gli fa visita, un pagano le risponde. Un cristiano, invece, si chiede:  la visitatrice è divina o diabolica? E’ reale o è una mia fantasia? Credo a questa figura, e se ci credo, su cosa baso il mio credere? E così via. Ma tutto ciò altera il naturale rapporto con i fenomeni. Il solo fatto di credere, l’affermazione “Io credo”, soggettivizza il fenomeno stesso e viene fagocitato dall’Io. Credere, ci separa dall’immaginazione, dalla nostra realtà animale. Come se credendo si potesse rendere reale, vero e concreto qualcosa. Certo, se si ha abbastanza fede….Questo colloca la realtà in un Io che desidera – chi è, infatti, che crede? Chi afferma la realtà della voce, o di Dio, o di Marybelle? “IO”, naturalmente! Questo è un modo inaccettabile di procedere. Ed è anche fondamentalmente antireligioso, perchè incurante della realtà di ciò che esiste, della realtà psichica. D’altronde la fede potrebbe essere intesa come un modo non riflessivo di procedere.

Dott. Marco Franceschini

Riferimenti bibliografici: James Hillman, Il linguaggio della vita, interviste di Laura Pozzo, Rizzoli.

Angoscia come necessità.

maxresdefaultLa psicologia ha riconosciuto, chiamandolo angoscia, il Caos senza volto e senza nome, il movimento folle e atterrito che è nell’anima, e dandogli quel nome ha evocato direttamente la Dea, Ananke, da cui deriva la parola angoscia. Se davvero la parola angoscia appartiene ad Ananke, s’intende che non può essere padroneggiata dalla volontà razionale. Quando l’angoscia ci invade e ci assale, noi non possiamo fare altro che accoglierla come un vuoto (chaos) aperto nella continuità della ragione. Di conseguenza l’angoscia non sarebbe suscettibile all’analisi; si fa strada ineludibilmente finché non ne viene ammessa la necessità. Perché, allora, non considerare le esperienze di angoscia come un riflesso nelle profondità dell’essere umano dell’operare di Ananke? Non è possibile nessuna teoria razionale dell’angoscia.  Essa non ha altra ragione di essere che la sua intrinseca necessità. Le basi dell’angoscia risiedono nella necessità stessa.

Dott. Marco Franceschini (Tratto da J. Hillman, La vana fuga dagli dei)

L’IMMAGINE E’ PSICHE

Ermete Trismegisto‘E’ vero, è vero senza errore, è certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola’.Come tutte le cose sono sempre state e venute da Uno, così tutte le cose sono nate per adattamento di questa cosa unica. Il Sole ne è il padre, la Luna ne è la madre, il Vento l’ha portata nel suo ventre, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il Telesma* di tutto il mondo è qui; la sua potenza è illimitata se viene convertita in Terra. Tu separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso, dolcemente con grande industria. E rimonta dalla Terra al Cielo, subito riscende in Terra, e raccoglie la forza delle cose superiori e inferiori.Tu avrai con questo mezzo tutta la gloria del mondo, e perciò ogni oscurità andrà lungi da te. E’ la forza forte di ogni forza, perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida.E’ in questo modo che il Mondo fu creato.Da questa sorgente usciranno innumerevoli adattamenti, il cui mezzo si trova qui indicato.E’ per questo motivo che io venni chiamato Ermete Trismegisto, perché possiedo le tre parti della filosofia del Mondo.Ciò che ho detto dell’Operazione del Sole è perfetto e completo.    (Tratto da: Tavola smeraldina di Ermete Trismegisto, cristiano di lingua araba. Nella tavola  vengono riassunti i principi di base dell’ermetismo che caratterizzava l’Egitto greco-romano in epoca tarda,  del VII sec.)

Secondo il Prof. A. Damasio, professore di Neuroscienze e Neurologia, University of Southern California e Iowa: ‘Non c’è una raffigurazione dell’oggetto che venga trasferita dall’oggetto alla retina e dalla retina al cervello. C’è piuttosto un insieme di corrispondenze tra le caratteristiche fisiche dell’oggetto e le modalità di reazione dell’organismo in base alle quali si costruisce un’immagine generata internamente’. Qui Damasio  (senza rendersene conto) sta confermando l’enunciato di Ermete Trismegisto, ‘cosi’ dentro cosi’ fuori, cosi’ in alto cosi’ in basso’, ma non solo. Sta altresì confermando la tesi della psicoanalisi analitica junghiana e le affermazioni dei padri della fisica quantistica (Pauli, Bohr, ecc) e degli antichi alchimisti, delle filosofie orientali e sufista. In altre parole conferma il concetto di Unus Mundus. Sempre il neuroscienziato afferma che:‘L’immagine che voi ed io vediamo nella nostra mente, quindi, non sono una copia esatta del particolare oggetto, sono piuttosto immagini delle interazioni tra noi e un oggetto che ha impegnato il nostro organismo, costruite in forme di configurazioni neurali secondo la struttura dell’organismo’ (anima e corpo). Allora, tradotto secondo una lettura archetipica: un immagine non è ciò che si vede ma il modo in cui si vede’. L’immagine è data dalla prospettiva immaginativa.(Casey). Quindi l’immagine non è qualcosa che si vede ma è come un modo di vedere. L’immagine rappresenta l’interfaccia tra noi e l’ambiente.                                                               A livello psico-fisico, l’immagine rappresenta il risultato della proiezione che noi facciamo sulla materia. (Dott. Marco Franceschini)

 

Cos’è la bellezza?

-sguardi-2-34605Nasciamo con a disposizione un’energia come dote da spendere nella vita, dove questa energia si chiama libido, che non è solo come la intendeva Freud, (libido sessuale), ma come ha dimostrato Jung è energia psichica che può assumere diverse forme, a diversi livelli, anche sessuale. Ora, nell’osservare “sua maestà il corpo” ci accorgiamo che è strutturato in modo tale da avere una supremazia sull’ambiente se non altro perché può manipolarlo. Il pollice opponibile ne è una dimostrazione.  Quindi scopo  e  fine della vita è quello di “spendere” questa libido oggettuale che trova il proprio piacere nell’altro, nell’oggetto; il mondo in quanto corpo? D’altronde se si nasce attraverso un corpo che si sviluppa, un corpo che ha senso solo in quanto in relazione con il mondo, allora dal momento che il corpo è la sede dei sensi, allora la libido porta con sé il piacere e il mondo afroditico dei sensi. Ma Afrodite è considerata la dea alchemica, quindi il principio della trasformazione oltre che dea dell’amore e della bellezza. “Aurea fu l’aggettivo spesso utilizzato dai greci per descrivere Afrodite e per loro Aurea voleva dire bella”[1]. Non a caso Plotino ha attribuito a Platone l’idea che l’Anima è sempre una “Afrodite”. Allora, nelle parole di Hillman: “Immagineremo che questa pulsione libidica, che percorre tutto l’opus del fare anima e il suo amore crescente, abbia come meta una resurrezione nella bellezza e nel piacere”[2]. Rispetto alla libido, ritengo utile sottolineare che secondo Jung: “La libido ha un carattere archetipico. E questo equivale a dire che la libido non proviene mai dall’inconscio in uno stato informe, ma sempre in immagini”[3]. Ma dipende da ognuno di noi saper cogliere la bellezza e il piacere. Tra l’altro la bellezza potrebbe essere considerata come l’oggettivazione del piacere. Vedere la bellezza in ogni sua modalità, dipende da come noi vediamo. Se vediamo con la ragione difficilmente potremmo cogliere questa bellezza, viceversa se ci poniamo con il cuore e con il desiderio, allora entriamo in sintonia con il cosmo con il “Qi” in un autentico rapporto-oggettuale, dove Eros e Psiche potrebbero essere degni rappresentanti. E’ auspicabile quindi saper riconoscere la bellezza nella nostra individualità, nel nostro corpo, ma non nel senso comune del termine, dove la bellezza viene letteralizzata, dove diventa fisica. La bellezza non è mai fisica di per se! Semmai la si può intendere come un piacere che si sostanzializza attraverso l’oggetto; in questo senso la bellezza non può prescindere dalla relazione oggettuale.   Potrebbe la bellezza corrispondere alla materializzazione del piacere? Perché no?          Moltissime persone non accettano il loro corpo così com’è, probabilmente perché letteralizzano il significato della bellezza, per cui si appesantisce la forma materiale della sua stessa fisicità; guardiamoci bene dal fisico nel materiale! Forse bisognerebbe immaginare di più con i sensi, con il piacere, altrimenti non si può dare bellezza. Vediamo la bellezza in un oggetto qualsiasi quando, ancora prima lo abbiamo immaginato con il piacere, col cuore. Esiste una madre che non vede il proprio neo-nato bellissimo? Tornando alla bellezza  ed al fatto che molte persone non “si piacciono”, è probabile che tale difficoltà possa essere rintracciata in due fattori intimamente legati l’uno all’altro: il primo, come già accennato, potrebbe dipendere dalla prospettiva letteralizzante, cioè dal fatto che proiettiamo massicciamente l’idea o l’immagine della bellezza nel fisico, in altre parole ci aspettiamo di trovare la bellezza nel fisico senza neppure immaginare l’oggetto; ma se manca il piacere di immaginare non ci può essere bellezza. Secondo,  la società propone oramai modelli di bellezza con dei parametri che difficilmente possono essere riscontrati sul proprio corpo. Risultato: non ci piacciamo, così rincorriamo i più svariati rimedi che vanno dalla dieta, alla palestra, dal chirurgo estetico al personal trainer e così via. E siccome è tutto un autoinganno, si continuerà ad essere infelici perché ci si  sente traditi dal proprio corpo. In realtà, l’infelicità che segue le diete, il chirurgo plastico, l’iniezione di bodulino, ecc, deriva dal fatto che più continuiamo a essere ciechi nei confronti dell’anima, della nostra vera natura più ci dovremmo aspettare l’insorgenza di sintomi, percepiti sia sul piano esistenziale sia sul piano medico. Forse per piacersi bisognerebbe partire dalla capacità immaginativa, immaginare col cuore! Insomma,forse la bellezza più che nell’oggetto è da ricercare nel modo con cui noi vediamo?

Dott. Marco Franceschini

[1] Bolen J.S., 1984, Le dee dentro la donna, Astrolabio, 1991, pg.221.

[2] Hillman J., Psicologia Alchemica, cit., pg. 281.

[3] Jung C.G., Psicologia Analitica, McGuire W. (a cura di), Ed. Magi, Roma, 2003, pg. 29.

 

Depressione. Una letteralizzazione del malumore

depressione-famiglia…il problema è di non prendere in modo letteralistico quei malumori, debolezze e sensi di impotenza. Quando sei in uno stato depressivo, capisci che la depressione appartiene a te e tuttavia non ti identifichi con essa. Vivi la tua vita nella depressione; svolgi il tuo lavoro in compagnia della depressione; non ti paralizza completamente. Può paralizzarti soltanto se sei un maniaco-depressivo. La depressione diventa terribile quando ci si accanisce a uscirne, a dominarla. Di una persona che prendesse alla lettera un’idea diremmo che è paranoide; eppure noi prendiamo i sentimenti come se fossero la nostra unica verità, identificandoci con essi. Insomma, quando entriamo in depressione, la nostra depressione ci appartiene e non possiamo evitare di viverla fino in fondo. Possiamo vivere la nostra giornata secondo uno stile depresso: il ritmo rallenta, c’è tristezza, non si riesce a vedere oltre il proprio orizzonte. Ma si può prendere atto di questi fatti, riconoscerli e andare avanti, migliaia di persone vivono in questo modo. Si può sempre trovare il modo di parlare, a partire dalla depressione, di vedere il mondo attraverso questa prospettiva, di entrare in rapporto con gli altri senza il bisogno di mascherarla. E’ un tale sollievo trovarsi con qualcuno che è capace di vivere nella depressione senza identificarsi totalmente con essa: è un maestro da cui imparare, come sanno essere a volte i vecchi. Con la depressione tocchiamo il fondo e toccare il fondo significa rinunciare all’idea cristiana di resurrezione, della “luce alla fine del tunnel”. Niente più fantasie di luce, ed ecco che la depressione diventa subito meno buia. Se non c’è speranza, non c’è neppure disperazione. Il messaggio di speranza del cristianesimo non fa che rendere più buia la disperazione; è il miglior alleato dell’industria farmaceutica!

(Tratto da J. Hillman)