Psicologia Archetipica.Introduzione

Psicoterapia Archetipica

La Psicologia Archetipica è una psicologia che volutamente si collega con le arti, la cultura e la storia della società, le quali traggono anch’esse origine dall’immaginazione. Il termine ‛archetipico’ contrapposto al termine ‛analitico’, che è la qualifica abituale della psicologia junghiana – è stato scelto non soltanto perché rifletteva ‟gli approfondimenti teorici dell’ultimo Jung, che tenta di risolvere i problemi psicologici andando oltre i modelli scientifici”  ma, e soprattutto, perché ciò che è ‛archetipico’ appartiene a tutta la cultura, a tutte le forme dell’attività umana, e non esclusivamente ai professionisti della moderna terapeutica. Secondo la definizione tradizionale, gli archetipi sono le forme primarie che governano la psiche. Essi non possono però essere contenuti unicamente dalla psiche dato che si manifestano anche nelle modalità fisica, sociale, linguistica, estetica e sprituale. Di conseguenza, la psicologia archetipica trova i suoi primi collegamenti con la cultura e con l’immaginazione, e non con la psicologia medica e la psicologia empirica, che sono soltanto manifestazioni limitate e positivistiche della condizione dell’anima nell’Ottocento. Da Jung deriva l’idea che le strutture fondamentali e universali della psiche, i modelli formali dei suoi sistemi relazionali sono modelli archetipici. Come gli organi fisici, essi ci vengono dati sin dalla nascita con la psiche stessa (ma non necessariamente ereditati per via genetica), e sono solo in parte modificati dai fattori storici e geografici. Il linguaggio primario e irriducibile di questi modelli archetipici è il discorso metaforico dei miti, che possiamo quindi considerare i modelli fondamentali dell’esistenza umana. Per studiare la natura umana al suo livello basilare, bisogna rivolgersi a quelle sfere della cultura (mitologia, religione, arte, architettura, epica, dramma, riti) dove questi modelli sono rappresentati. Questo distacco dalla base biochimica, storico-sociale e personale-comportamentale della natura umana in direzione dell’immaginativo presuppone ciò che Hillman ha chiamato ‟la base poetica della mente” .                   

 Il dato da cui la psicologia archetipica prende le mosse è l’immagine. È stato Jung a identificare l’immagine con la psiche: ‟L’IMMAGINE È PSICHE”, una massima che la psicologia archetipica ha sviluppato sino all’affermazione che l’anima è costituita da immagini, che è in primo luogo un’attività immaginativa, manifestantesi nel modo più spontaneo e paradigmatico nel sogno. È proprio nel sogno, infatti, che il sognatore stesso agisce come un’immagine tra le altre, e anzi, come si può dimostrare, nel sogno è il sognatore che è nell’immagine e non l’immagine nel sognatore. L’autoctonia delle immagini, e quindi la loro indipendenza dall’immaginazione soggettiva responsabile della percezione, conduce ad approfondire ulteriormente l’idea di Casey. A tutta prima, si crede che le immagini siano allucinazioni (cose viste); poi, vengono riconosciute come atti dell’immaginazione soggettiva; successivamente ancora, si arriva alla consapevolezza che le immagini sono indipendenti dalla soggettività e dalla stessa immaginazione: come nei sogni, vanno e vengono a loro piacimento, entro il loro campo di relazioni. Questo riconoscimento Corbin lo attribuisce al cuore ridestato come locus dell’immaginazione, un luogo familiare anche alla tradizione occidentale già dall’ ‟immagine del cuor” di Michelangelo. Questa interdipendenza tra cuore e immagine congiunge strettamente la base stessa della psicologia archetipica con i fenomeni dell’amore. Per la psicologia, la teoria di Corbin dell’immaginazione creativa del cuore implica inoltre che, se la base è l’immagine, si deve al tempo stesso riconoscere che l’immaginazione non è soltanto una facoltà umana, ma è un’attività dell’anima di cui l’immaginazione umana costituisce una testimonianza. Se ‛l’immagine’ viene così trasferita da una sfera umana a quella di un’attività sui generis dell’anima, che si estrinseca in una manifestazione affatto autonoma della sua nuda natura, tutti gli studi empirici sull’immaginazione, sui sogni, sulla fantasia e sul processo creativo degli artisti, nonché sui metodi del réve dirigé, non contribuiscono che assai scarsamente a una psicologia dell’immagine, in quanto partono dal terreno empirico dell’immaginare anziché dal fenomeno dell’immagine, che non è un prodotto dell’immaginare. I metodi empirici di analisi e di guida delle immagini si sforzano di ottenerne il controllo. La psicologia archetipica si distingue radicalmente da questi metodi di controllo dell’immagine, come Watkins ha validamente dimostrato. E per concludere questa introduzione teorica è utile ricordare che, non siamo noi che immaginiamo, bensì siamo immaginati.